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Ricerca delle Università della Pennsylvania, del Texas ad Austin e del Sannio, getta le basi teoriche per l’utilizzo di metamateriali come computer analogici

Il settore di ricerca sui “metamateriali” ha concepito e sviluppato strutture con capacità senza precedenti, come lenti piatte, mantelli d’invisibilità, e dispositivi ottici “meta-tronici” in grado di manipolare la luce in maniera simile a come i circuiti elettronici manipolano il flusso di elettroni.Adesso, questa tecnologia potrebbe favorire la rinascita del calcolo analogico.

Uno studio effettuato da ricercatori delle Università della Pennsylvania, del Texas ad Austin e del Sannio mostra che i metamateriali possono essere progettati in modo da eseguire “calcolo fotonico” su segnali luminosi che li attraversano.

Un segnale luminoso, descritto da un’onda funzione di spazio e tempo, ha un profilo spaziale che può essere interpretato come una curva in un piano Cartesiano. Il metamateriale teorico progettato dai ricercatori è in grado di eseguire delle specifiche operazioni matematiche su tale profilo, come ad esempio calcolare la derivata prima o seconda, mentre l’onda attraversa il materiale.

Così, ad esempio, un’onda luminosa all’ingresso di questo materiale genererebbe all’uscita la derivata del profilo dell’onda stessa. In maniera analoga, è possibile progettare metamateriali in grado di eseguire altri tipi di operazioni matematiche, come ad esempio integrazione e convoluzione.

La visualizzazione e la manipolazione di questo tipo di segnali luminosi sono operazioni molto comuni in applicazioni all’elaborazione di immagini, sebbene vengano tipicamente effettuate in seguito alla conversione della luce in segnali elettronici sotto forma di informazione digitale. I metamateriali “computazionali” proposti dai ricercatori potrebbero eseguire tali operazioni in maniera istantanea sul segnale luminoso (si pensi alla luce che attraversa la lente di una macchina fotografica) senza bisogno di convertirlo in segnali elettronici.

Lo studio congiunto è stato guidato dal Prof. Nader Engheta dell’Università della Pennsylvania, e ha visto la partecipazione del Dr. Alexandre Silva (Università della Pennsylvania), del Dr. Francesco Monticone e del Prof. Andrea Alù dell’Università del Texas ad Austin, e dei Proff. Giuseppe Castaldi e Vincenzo Galdi del Dipartimento di Ingegneria dell’Università del Sannio.

Lo studio, finanziato in parte dall’US Office of Naval Research, è stato pubblicato nella rivista Science.

La teoria sviluppata dai ricercatori affonda le radici nel calcolo analogico. Gli antenati dei computer moderni erano dei calcolatori meccanici che utilizzavano elementi come regoli, cremagliere e macchine a tamburo per rappresentare, memorizzare e manipolare le informazioni numeriche. Negli esempi più complessi, un utente poteva definire tramite un quadrante o una rotella i valori di ingresso delle grandezze da calcolare, e poi azionare una manopola per un certo numero di volte. Opportuni sistemi a ingranaggi erano in grado di trasformare i valori iniziali in maniera graduale fino alla generazione del risultato.

A metà del XX secolo, i computer elettronici analogici rimpiazzarono quelli meccanici, sostituendo ingranaggi e tamburi con resistenze, condensatori, induttori e amplificatori. I valori iniziali erano impostati attraverso tensioni e correnti elettriche, e i risultati potevano essere letti in termini di variazioni di tensione e corrente all’uscita di tali circuiti dedicati. I computer analogici (sia meccanici sia elettronici) erano particolarmente adatti al calcolo di tabelle dati di dimensioni elevate. Laddove il calcolo manuale avrebbe richiesto l’esecuzione tediosa di passi ripetitivi per ogni elemento della tabella (con ogni passo suscettibile di errore umano), i computer analogici erano in grado di eseguire tali passi in parallelo, producendo tutti i risultati contemporaneamente.

L’avvento del primo computer digitale (ENIAC) fu rivoluzionario. L’astrazione dei dati in ingresso consentiva ai computer digitali di essere polivalenti: potevano essere riprogrammati per eseguire diversi tipi di elaborazione, a differenza dei loro predecessori analogici che erano invece vincolati all’operazione per cui erano stati fabbricati. Sebbene i computer analogici presentassero ancora il vantaggio di non richiedere la conversione, quantizzazione e digitalizzazione dell’informazione da elaborare, le loro architetture meccaniche ed elettroniche non erano in grado di competere con gli enormi progressi nel campo dei circuiti elettronici integrati che hanno consentito ai computer digitali una rapida miniaturizzazione e incremento della velocità.

La sostituzione degli ingranaggi meccanici e dei circuiti elettrici con materiali ottici operanti su segnali luminosi potrebbe portare nuovamente in auge i computer analogici, ma stavolta alle micro- e nano-scale.

“Paragonati a quelli digitali, questi computer analogici erano ingombranti, lenti e assorbivano molta potenza”, ha spiegato il Prof. Engheta. “Ma applicando gli stessi concetti ai metamateriali ottici, un giorno potremmo essere in grado di fabbricarli alle micro- e nano-scale, e farli funzionare quasi alla velocità della luce utilizzando bassa potenza”.

“Lo spessore delle nostre strutture può essere confrontabile con la lunghezza d’onda o anche minore”, ha aggiunto il Prof. Galdi. “L’implementazione di funzionalità simili attraverso sistemi ottici convenzionali, come lenti e filtri, richiederebbe strutture molto più spesse”.

I metamateriali sono compositi di materiali naturali, ma sono progettati in modo tale da manipolare le onde elettromagnetiche in modi che trascendono la semplice somma dei singoli costituenti. Oggetti costituiti da materiali naturali hanno atomi e molecole disposti secondo determinate strutture dettate dalle leggi della fisica e chimica. Tali strutture conferiscono le proprietà elettromagnetiche, che a loro volta determinano come i materiali influenzano le proprietà delle onde. Introducendo un altro livello di organizzazione, attraverso strutture artificiali di più materiali su scale di lunghezze più piccole delle onde che le attraversano (come ad esempio delle particelle d’oro nanoscopiche in un materiale vetroso), i progettisti di metamateriali sono in grado di manipolare le onde con modalità che sarebbe impossibile ottenere utilizzando semplici superfici o lenti.

Ad esempio, un cucchiaio immerso in un bicchiere d’acqua appare piegato perché l’acqua rifrange (“piega”) la luce. La luce che viaggia dalla parte immersa del cucchiaio verso l’osservatore ha un angolo di rifrazione diverso rispetto a quella che viaggia dalla parte superiore. A differenza dei materiali naturali, i metamateriali possono essere progettati in modo da produrre angoli di rifrazione negativi. Se l’acqua nel bicchiere esibisse una rifrazione negativa, l’immagine della parte immersa del cucchiaio apparirebbe non solo piegata, ma anche rivoltata (come se vista allo specchio).

Manipolazioni multiple di questo tipo possono essere combinate o eseguite in sequenza, consentendo ai ricercatori nel campo dei metamateriali di cambiare la forma delle onde in modi anche molto complessi.

Nella fase iniziale, i ricercatori hanno eseguito una simulazione al computer di un metamateriale ideale che fosse in grado di cambiare perfettamente il profilo dell’onda incidente trasformandolo in quello della sua derivata. Avendo questo metamateriale ideale come guida, i ricercatori hanno poi vincolato le simulazioni a materiali costituenti (come silicio e ossido di zinco drogato con alluminio) potenzialmente adatti alle tecniche di fabbricazione che ritenevano fisicamente implementabili.

“I risultati delle simulazioni nei due casi erano quasi identici, e quindi abbiamo buone speranze di riprodurre sperimentalmente i risultati in futuro”, ha evidenziato il Prof. Engheta.

Una volta fabbricati, questi metamateriali potrebbero essere utilizzati per eseguire specifiche operazioni che meglio si prestano ad un approccio analogico. Calcolare la derivata di una funzione algebrica, ad esempio, è un’operazione che i computer digitali tipicamente eseguono mediante “forza bruta”, essenzialmente scandendo la curva e calcolando la differenza tra ogni paio di punti vicini. Nonostante gli attuali computer digitali siano in grado di scandire molto velocemente dei profili bi-dimensionali, il tempo necessario per completare l’operazione aumenta all’aumentare delle dimensioni del profilo. Un metamateriale computazionale progettato per calcolare le derivate su un segnale luminoso potrebbe invece completare l’operazione quasi istantaneamente a prescindere dalle dimensioni del profilo, giacché opererebbe su tutti i punti contemporaneamente.

Un’applicazione particolarmente adatta al calcolo analogico che potrebbe utilizzare direttamente questo tipo di metamateriali computazionali è la rilevazione di contorni (“edge-detection”), una tecnica di elaborazione di immagini sempre più comune che consente ai software di rilevare facce e identificare oggetti nelle foto.

“Quando si esegue la rilevazione di contorni su un’immagine con tecniche di elaborazione attualmente disponibili lo si fa in maniera digitale, pixel a pixel”, ha spiegato il Prof. Engheta. “Tipicamente, si scandisce un’immagine e si confrontano tutti i pixel vicini, e quando si osserva una grossa differenza tra due pixel la si caratterizza come contorno. Con questi metamateriali computazionali in futuro magari si potrà eseguire l’operazione in contemporanea: inviando in ingresso la luce proveniente dall’immagine stessa, si potrebbe ottenere in uscita il profilo con i contorni rilevati”.

“Grazie ai recenti sviluppi nelle nanotecnologie”, ha aggiunto il Prof. Alù, “siamo oggi in grado di controllare la propagazione della luce attraverso un materiale in modi senza precedenti, e realizzare funzionalità che fino a pochi anni fa sarebbero state inconcepibili. Con questo studio abbiamo gettato le basi per progettare metamateriali in grado di eseguire una vasta gamma di operazioni matematiche su segnali luminosi che li attraversano”.

Le ricerche future prevedono la fabbricazione e validazione sperimentale in laboratorio di questi metamateriali computazionali. In caso di successo, i ricercatori cercheranno di progettare metamateriali in grado di eseguire altre operazioni matematiche e perfino di risolvere equazioni. Codificando opportunamente il segnale d’ingresso in termini delle variabili rispetto a cui risolvere l’equazione, e poi riportando il segnale di uscita all’ingresso, un metamateriale così concepito opererebbe sulla funzione incognita, e il profilo di onda risultante conterrebbe le variabili desiderate.

“Il Gruppo di Elettromagnetismo del Dipartimento di Ingegneria è attivo da circa dieci anni nel settore dei metamateriali”, ha commentato il Prof. Galdi. “La stretta collaborazione con i Gruppi guidati dai Proff. Engheta e Alù ha già prodotto importanti risultati pubblicati in riviste ad alto fattore di impatto. La pubblicazione di risultati nella rivista Science rappresenta per molti versi un punto di arrivo, ma siamo consapevoli che il carattere “visionario” di questo studio lo rende anche un nuovo punto di partenza. I nostri risultati indicano una direzione finora largamente inesplorata nell’utilizzo di metamateriali, che va ben oltre l’elettromagnetismo e potrebbe condurre a nuovi paradigmi di calcolo”.