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Diario di una città vista dal basso – prima parte

24/12/2012
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L’autore, Alfredo Martinelli, scrive a tal proposito  : “Oggi rendo pubblico “Diario da una città vista dal basso”. Un nuovo progetto, che come tutto ciò che appartiene al mio lavoro di scrittura, preferisco non descrivere, né tanto meno presentare o intervenire su commenti e considerazioni, per non inquinare la libertà percettiva che ognuno deve avere nel leggere un testo, così come avviene quando si ascolta un brano musicale o si osserva un dipinto.

PRIMA PARTE
Stamane avevo da poco superato il cartello stradale che indica l’ingresso in città, quando la stanchezza del lungo viaggio non m’ha fatto notare un’enorme pozza d’acqua. Ci sono finito dentro come un pesce acrobata e mi si è spenta l’auto. Fortunatamente sono riuscito ad accostare senza avere problemi con gli altri veicoli ed ho potuto ripiegare verso la parte interna dell’enorme rotonda che distribuisce il traffico periferico.
Anche se di motori ne capisco poco quanto nulla, so che quelli a benzina sono sensibili all’umidità, così sono sceso per guardare sotto il cofano ma, ironia della sorte, dopo poco ha ripreso a piovere ed un’auto di passaggio ha fatto sollevare tanta di quell’acqua da infradiciarmi da capo a piedi. Penso d’aver imprecato parecchio e ad alta voce, perché da lontano ho sentito una donna che cercava di rassicurarmi: – “Non è giornata oggi, vero?” e poco dopo s’è avvicinata per coprirmi col suo ombrello.
Di circa cinquant’anni, magrolina e non molto alta, con un basco di lana bianca in testa ed un’ipnotica fessura fra gli incisivi. Ma ciò che m’ha subito colpito è stato il senso di tranquillità che è riuscita a trasmettermi fin dall’inizio dell’incontro.
– “Già!” le ho risposto con una smorfia. Lei m’ha sorriso e offerto d’aiutarmi a far ripartire l’auto se poi le avessi dato un passaggio a casa. Lo avrei fatto comunque anche senza il suo aiuto a spingere, ma ne è valsa la pena perché con l’acqua fino alle caviglie non è stato facile. Dopo qualche faticoso tentativo siamo comunque riusciti a far ripartire il borbottio del due cilindri ed una volta dentro l’abitacolo, ho vissuto un lungo momento d’imbarazzo. Il fiatone d’entrambi s’era attaccato ai vetri ed i vestiti bagnati m’impedivano più del solito i movimenti già difficili in una macchina piccola come mia. Per fortuna la mia soccorritrice è una tipa pratica ed in poche semplici mosse m’ha sfilato il giaccone, ripulito il parabrezza con i fazzolettini di carta per poi voltarsi sorridente porgendomi la mano per presentarsi:
– “Piacere, io sono Maria!” Ma il piacere è stato il mio, perché averla incontrata ha dato un senso concreto e reale all’incarico affidatomi, che devo portare a termine entro pochi giorni. Ma voglio procedere con ordine affinché nulla vada perso di ciò che sto vivendo in questa strana cittadina, di cui fino a qualche giorno fa non conoscevo neanche l’esistenza. Per questa ragione ho deciso di scrivere un breve diario giornaliero.
Dopo le presentazioni avrei voluto subito chiederle dove dovessi  accompagnarla, ma lei è stata più svelta ed ha voluto sapere se avessi un posto dove andare per asciugarmi i vestiti. – “Veramente no!” le ho risposto imbarazzato, così m’ha convinto ad andare a casa sua ed ancora adesso, a distanza di qualche ora, non ho capito come abbia fatto.
Così, seguendo le sue indicazioni, abbiamo attraversato uno stretto cavalcavia ferroviario e siamo entrati in città passando accanto alla stazione. Abituato ad altre città m’è parso strano che una delle strade d’ingresso assomigli più ad una stretta e mal ridotta via di servizio, ma forse la pioggia e la foschia m’hanno fatto avere una percezione differente dalla realtà. Proseguendo, senza incanalarci sul viale principale, ci siamo inoltrati nelle parti interne del quartiere. Dopo una serie di svolte agli incroci ho parcheggiato lungo un marciapiede fiancheggiato da una lunga aiuola ben curata su cui si erge una piccola statua di Padre Pio. Scesi dall’auto ho aperto il bagagliaio per togliere le valige ed il piccolo computer su cui sto scrivendo, ma Maria m’ha detto che non avrei avuto nulla da preoccuparmi, m’ha fatto cenno di seguirla e siamo andati verso uno dei palazzotti lì vicino. Strada facendo s’è fermata ad una finestra con la tapparella abbassata, ha bussato in modo cadenzato tre volte con le nocche ed una voce dall’interno ha detto più o meno così: – “Marì, agg’ vist’ ‘a machina d’u client’ … statt’ tranquilla!” lei ha sorriso ma ha tenuto a precisare che sono solo un amico. Proseguendo siamo passati accanto ad un gruppetto di ragazzini. A prima vista sembrano tutti uguali, con giubbotti simili e identiche pettinature. Erano raccolti in semicerchio in uno degli angoli dei palazzotti. Di sicuro facevano qualcosa di poco pulito perché si guardavano continuamente intorno con aria circospetta e quando ci hanno visto arrivare uno di loro ha detto qualcosa che ha fatto fermare gli altri. La casa è carina, accogliente, con un arredamento semplice ma curato i cui toni tendono a quel colore indefinito fra l’arancione scuro ed il marrone, tipico dei mattoni forati grezzi. Poche stanze si aprono intorno all’ingresso, nel quale lei m’ha fatto subito togliere le scarpe per accompagnarmi al bagno, in cui ha preparato tutto l’occorrente necessario a fare una doccia mentre lei in salotto asciugava col fon i vestiti, che ho ritrovato piegati sulla sedia fuori dal bagno. Quando ho finito l’ho trovata nel salotto che m’aspettava con due tazze di tè bollente ed una biscottiera piena.
– “Cosa ci fai di bello qui?” m’ha chiesto con garbo. Le ho così raccontato che sono stagista presso una rivista di turismo e devo scrivere un articolo sulla città. Lei ha ascoltato con attenzione e di tanto in tanto percepivo che m’osservava e rifletteva su qualcosa, poi ha spalancato un bel sorriso materno, mascherando forse un pizzico
di ironia e m’ha chiesto se fossi uno di quelli che della città conosce solo qualche monumento famoso e la solita noiosa leggenda sulle streghe. Sono rimasto impacciato e sollevando le spalle stavo per rispondere quando lei m’ha preceduto proponendosi per farmi da guida alla scoperta della città vera, quella dei cittadini.
Stavo per dire di no perché lì per lì ho pensato che, seppur gentile e premurosa, non è certo una persona in grado d’aiutare un giovane laureato ed aspirante reporter come me, ma per fortuna ho dato ascolto al mio istinto o dáimōn, come lo chiamerebbe qualcuno e le ho fatto un timido cenno d’assenso con la testa.
Prima di finire il tè mi son fatto coraggio e le ho chiesto cosa facesse lei, al che s’è avvicinata sorridente e, carezzandomi dolcemente il viso, ha detto: – “Non dirmi che non l’hai capito, ma non preoccuparti non ti metterò in imbarazzo!”
Ho sentito le guance e le orecchie diventare bollenti dalla vergogna, ma anche in questo caso è stata abile a distrarmi dall’imbarazzo: – “Forza su, andiamo, la città ci aspetta!” Tornando verso l’auto ho visto due tizi bussare due volte e mettere soldi sotto la tapparella dove prima s’era fermata Maria e dopo poco ne è uscito un pacchetto di sigarette. – “Che c’è, ti sembra strano?” – m’ha chiesto vedendomi imbambolato a guardare la scena e poi ha incalzato – “Forza su abbiamo parecchio da camminare!”
Le ho ricordato che ho l’automobile con dentro la macchinetta fotografica, ma, dopo aver allungato il passo, s’è fermata e girata di faccia per dirmi: – “Se vuoi conoscere una città devi osservarla dal basso, partecipare alla sua vita e parlare con chi vi abita, per le foto ai monumenti c’è sempre tempo, quelli non scappano!”
Così ci siamo incamminati e per fortuna aveva smesso di piovere.

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