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Il grande successo di “Zì Tore”: il parroco di Padre Pio

L’importante libro, scritto da Raffaele Iaria pietrelcinese di adozione.  Mazzone : “Una monografia ricca di tanti dati storici, ma anche del particolare e intimo rapporto del parroco con Padre Pio”.

di Lino Santillo

Tantissimi i libri scritti su Padre Pio nel corso di questi anni. Tutti proiettati a focalizzare la vita del frate stigmatizzato nel corso della sua vita terrena, ma anche dopo la morte avvenuta il 23 settembre 1968. Libri anche sui figli spirituali, nei confronti dei frati cappuccini e anche di persone che hanno conosciuto Padre Pio. Intanto, un giovane scrittore e anche giornalista Raffaele Iaria, pietrelcinese d’azione avendo sposato una “pucinara” (pietreelcinese) Lucia Mazzone ha avuto una brillante e geniale idea, vale a dire ha scritto un libro per esaltare la figura di sacerdote del parroco di Pietrelcina ai tempi di Padre Pio, nello specifico Don Salvatore Pannullo, conosciuto da tutti i pietrelcinesi con l’appellativo affettuoso di “zì Tore). Per cui, lo stesso autore Raffaele Iaria ha intitolato il libro “Zì Tore” il parroco di pasdre Pio. Un libro di grande connotazione culturale e spirituale, dove lo stesso autore Raffaele Iaria ha scavato nel profondo della vita da parroco di Don Salvatore Pannullo. L’arcivescovo di Benevento mons. Felice Accrocca nel corso della prefazione ha scritto: “se è vero che dietro un grande uomo v’è – molto spesso – una gran donna, è vero pure che dietro un prete, con altrettanta frequenza, si finisce per trovarne un altro. Nel senso che molte volte, a orientare una vocazione verso il sacerdozio o la vita religiosa, è stata decisiva la testimonianza di un’altra anima votata senza riserve a Dio: testimonianze semplici, fatte di vita quotidiana, eppure capaci di mostrare Dio, di far percepire a tutti la sua voce, di render chiara – con un discernimento sapiente – la sua volontà. Uno scrittore brillante quale fu don Giuseppe De Luca, rivolgendosi allo zio, don Vincenzo D’Elia, scriveva: «Quando, nei giorni della mia prima infanzia in casa della mia nonna materna e vostra sorella, nasceva misteriosamente in me la vocazione a farmi prete, pensavo qualche volta che sarei stato un prete come voi eravate, e questo mi incoraggiava incredibilmente. […] Voi siete stato il sacerdote che mi sarebbe piaciuto di essere a me: aperto a tutte le speranze e fermo su tutte le certezze, amico della buona intelligenza e maggiormente amico della santità, il più onorato e il più spoglio di onori, privo degli agi più elementari, povero come un orfano che abbia il Padre nei cieli e consolato come un padre di tutti, circondato di amici innumerevoli e tuttavia segreto, solitario, silenzioso» (Dalla dedica al vol. IV dei Commenti al Vangelo Festivo, Roma 1950, padre 7-8). Il libro che tu – lettore o lettrice – hai tra le mani, prende spunto da una storia simile: quella di un giovane nato in un piccolo paese del Sannio, che fu orientato nel proprio cammino da alcune figure esemplari. Il paese anzitutto, quella Pietrelcina che pure agli 8 inizi del XX secolo raggiunse il massimo dei suoi abitanti (oltre 4.700), nonostante tutto era sempre un “mondo piccolo”, in tutto analogo a quello che qualche decennio dopo avrebbe descritto Giovanni Guareschi: un mondo nel quale una parola importante e decisiva aveva ancora la ritualità cristiana, dove giungeva puntualmente la visita di quei frati cercatori che – in periodi stabiliti dell’anno – arrivavano questuando vino e olio, grano e formaggio. A Pietrelcina si aspettava la visita di fra Camillo, frate cappuccino. Fu lui la prima figura di riferimento di un adolescente del luogo; vedendolo arrivare, con la sua lunga barba, senza calze neppure nei periodi più freddi dell’anno, il giovane Francesco Forgione sentì forte la spinta a seguirlo: fu il passo decisivo per colui che tutto il mondo avrebbe poi conosciuto come padre Pio da Pietrelcina. Alcuni anni più tardi, divenuto ormai sacerdote, quel giovane fece ritorno per qualche anno al proprio paese e vi ritrovò un’altra figura dietro cui muovere i primi passi del suo itinerario presbiterale: don Salvatore Pannullo, un sacerdote colto, capace di parlare al cuore del popolo e di farlo anche con la sua lingua, che fu parroco dal 1901 al 1928. Nel 1912 padre Pio scrisse che l’arciprete gli voleva bene “più” che un padre, dolendosi di non poterlo aiutare nelle confessioni perché il Provinciale gliene aveva negato il permesso; nel 1915 lo sceglierà quale suo confessore: don Pannullo verrà così messo a parte dei segreti dell’anima di padre Pio, ciò che consentì di stabilire un’intimità più profonda fra i due, un’intimità che avrebbe concesso a ciascuno dei due di trasmettere qualcosa di sé all’altro. È nota la descrizione che ancora don Giuseppe De Luca dette di padre Pio in una lettera a Giovanni Papini. Lo disse «ignorante, molto meridionalmente grosso: e tuttavia (badi che oltre a confessarmici ho mangiato con lui e con lui mi son trattenuto) ha con sé e in sé Iddio, quel Dio tremendo che noi intravediamo in fantasia, e lui ha nell’anima, caldissima insostenibilmente, e nella 9 carne che ne trema sempre, piagata e ora più ora meno, come sotto raffiche sempre più forti, gemente atrocemente. Proprio ho veduto che cosa sia il ‘santo’, non dell’azione ma della passione: che patisce Iddio. […] C’è la intelligentia spiritalis, che è dono gratuito di Dio. E c’è una passione, anche umana, per Iddio, caro Papini, che è cosa d’una bellezza e d’una rapinosa dolcezza che io non le dico» (lettera del 28 ottobre 1934). Un uomo del genere non era certamente un uomo comune: la descrizione che De Luca ne dette resta memorabile, non tanto per la bellezza letteraria dello scritto, quanto per la passione che il narratore vi sa trasmettere, incendiato a sua volta dall’ardore serafico di quel frate. No, padre Pio non era un uomo comune. Ma era comunque un uomo, che tanto aveva appreso da quel mondo piccolo nel quale era nato ed era vissuto e dalle persone con cui, in quello stesso mondo, era entrato in contatto. Tra queste, don Salvatore Pannullo ha avuto certamente un ruolo tutt’altro che secondario. Bene ha fatto perciò Raffaele Iaria a concentrare la propria attenzione su questo sacerdote che non può e non deve essere dimenticato. Anche per tale motivo, ma non solo, mi auguro che il suo lavoro venga letto e meditato da molti. Mentre, la presentazione dell’importante libro è stata affidata al giovane sindaco Salvatore Mazzone: “ in un suo celebre discorso, Enrico Medi si rivolgeva alla nostra comunità con queste parole: «Beata Te, o Pietrelcina, perché hai visto nascere Padre Pio. Perché nell’istante in cui l’uomo nasce, respira e viene a contatto con le prime molecole che entrano dentro i suoi polmoni e nella sua vita, e le prime molecole di quel paese lasciano in lui una traccia misteriosa, che noi diciamo una traccia genetica, in tutta la sua vita». Parole, quelle del fisico marchigiano, che ogni pietrelcinese dovrebbe tenere gelosamente custodite nell’anima, ma che, ad una più attenta riflessione, appaiono cogliere solo una parte (senza dubbio significativa) del legame profondo che unisce il santo più venerato della cristianità alla sua terra. Padre Pio non è semplicemente nato a Pietrelcina, non è solo genetica la traccia che il nostro paese ha lasciato nella sua vita: con noi ha infatti vissuto gli anni più significativi della sua crescita umana, morale e spirituale. E in questo suo cammino di crescita, come in quello di ciascuno di noi, sono stati fondamentali i modelli di vita coi quali si è confrontato e a contatto coi quali ha maturato il suo modo di concepire la vita e la fede. Modelli, questi, che il santo ha trovato innanzi tutto in famiglia, nella devozione popolare di zia Peppa e zi’ Grazio, ma anche in altre figure, innanzitutto don Salvatore Pannullo, il suo parroco, colui che in primis ha incarnato per lui il volto della Chiesa e l’idea di sacerdozio. L’importanza della figura di Zi’ Tore è stata giustamente sottolineata da tutti i biografi di padre Pio, ma mai nessuno sin ora aveva scritto una monografia su di lui, complice anche la scarsità di fonti documentarie a riguardo. È per questo, e non solo, che accogliamo con gioia il presente lavoro, che getta una luce su un personaggio che sintetizza e presta un volto al ruolo che Pietrelcina ha avuto nel percorso di padre Pio verso la santità. Ringraziamo pertanto Raffaele Iaria, pucinaro acquisito e giornalista sempre attento e sensibile nei confronti di una comunità, la nostra, in cui deve essere centrale approfondire la propria storia, cercare il filo che tiene unite le vite di quanti, generazione per generazione, hanno condiviso e condividono non tanto uno spazio vitale, un luogo da abitare, ma un’identità condivisa che è fatta di luoghi, tradizioni e memoria. Per concludere, lo stesso autore Raffaele Iaria afferma : “Don Salvatore Maria Pannullo, un prete che si fa storia in un piccolo centro del Meridione d’Italia oggi noto a tutti: Pietrelcina. Un uomo che scopre la santità di un giovane che diventerà il primo sacerdote stigmatizzato della storia e tra i più seguiti al mondo: padre Pio da Pietrelcina. Frammenti di storia che si intrecciano tra il 1901 e il 1928 in questo centro del Sannio, in Campania, tra le province di Salerno, Avellino e Benevento . Oggi Pietrelcina conta 3000 abitanti: un paese, una parrocchia, un santuario, ma anche, successivamente, simbolo di un uomo e di Territori che appartenevano ai caudini e agli irpini e a quelle confinanti dei pentri. «Dai sanniti ai romani ai longobardi: come i sanniti si erano battuti contro i romani, così i longobardi dovettero combattere contro i normanni, un popolo guerriero più forte e dotato di maggiore capacità politica. Furono i normanni ad istituire e diffondere il feudalesimo in quest’area, che risentì anche del passaggio di Benevento alla sovranità pontificia. Il 61% del territorio provinciale è montano. Quella di padre Pio che don Salvatore Pannullo incrocia nei primi anni del Novecento da parroco di questo centro a pochi chilometri da Benevento. Siamo nel 1901: Francesco Forgione, il futuro padre Pio, aveva 14 anni. In quegli anni questo borgo contava circa 4000 abitanti: nel dettaglio, nel 1901 i residenti erano 4.258. Dieci anni dopo, nel 1911, raggiunge il massimo con 4.769 abitanti. Un paese fatto di «viuzze di qua e di là, quali piane, quali ripidissime, e tutte irregolarmente costruite fra villiche dimore», raccontava Alfonso Meomartini nel 19073 . Il paese, a 340 metri sul livello del mare, ha fatto sempre parte della diocesi di Benevento4 e della provincia del Principato Ultra del Regno di Napoli5 . Dal 1861 appartiene alla provincia di Benevento e dista dalla città 12 km. 2 Una figura, quella di don Salvatore Pannullo, molto significativa nella vita di padre Pio. In tanti volumi, editi in Italia, sulla vita del Santo cappuccino si trovano riferimenti a questo sacerdote. Ma non solo: tanti riferimenti anche in volumi in lingua straniera: vedesi Bob and Penny Lord, Saint Padre Pio, Journeys of Faith, 2010; Diane Allen, Pray, Hope, and Don’t Worry: True Stories of Padre Pio, Padre Pio Press, 2020, Pe. Jonathan Albuquerque, Padre Pio De Pietrelcina o Santo da Humildade, Clube de Autores, 2018. Oggi ricostruire una breve biografia di don Salvatore Maria Pannullo vuol dire dare “voce” ad un sacerdote che ha dato la sua vita per i fedeli di questo centro. Una storia che incarna quella di tanti sacerdoti di allora e di oggi. La storia di ogni vocazione sacerdotale, scriveva Giovanni Paolo II – come «peraltro di ogni vocazione cristiana – è la storia di un ineffabile dialogo tra Dio e l’uomo, tra l’amore di Dio che chiama e la libertà dell’uomo che nell’amore risponde a Dio». Il presbitero, «mediante il sacerdozio, che scaturisce dalle profondità dell’ineffabile mistero di Dio, ossia dall’amore del Padre, dalla grazia di Gesù Cristo e dal dono dell’unità dello Spirito Santo», è «inserito sacramentalmente nella comunione con il Vescovo e con gli altri presbiteri per servire il Popolo di Dio che è la Chiesa e attrarre tutti a Cristo, secondo la preghiera del Signore: “Padre santo, custodisci nel tuo nome coloro che mi hai dato, perché siano una cosa sola, come noi… Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato!»6 . «A immagine del Buon Pastore – ha scritto papa Francesco – il prete è uomo di misericordia e di compassione, vicino alla sua gente e servitore di tutti …Chiunque si trovi ferito nella propria vita, in qualsiasi modo, può trovare in lui attenzione e ascolto … C’è bisogno di curare le ferite, tante ferite! Tante ferite! C’è tanta gente ferita, dai problemi materiali, dagli scandali, anche nella Chiesa… Gente ferita dalle illusioni del mondo… Noi preti dobbiamo essere lì, vicino a questa gente. Misericordia significa prima di tutto curare le ferite». Questo – ricorda spesso – è «il tempo della misericordia»7 . Il sacerdote nella celebrazione eucaristica ritrova ogni giorno l’identità di pastore: «ogni 6 Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica post Sinodale, Pastores Dabo Vobis, 25 marzo 1992. 7 Papa Francesco, Discorso ai parroci di Roma, 6 marzo 2014. 16 volta possiamo fare veramente nostre le sue parole: “Questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi”. È il senso della nostra vita, sono le parole con cui … possiamo rinnovare quotidianamente le promesse della nostra Ordinazione. Vi ringrazio per il vostro ‘sì’, e per tanti ‘sì’ nascosti di tutti i giorni, che solo il Signore conosce. Vi ringrazio per il vostro ‘sì’ a donare la vita uniti a Gesù: sta qui la sorgente pura della nostra gioia»8 . E la vita di don Pannullo è una testimonianza di questo. Il volumetto che avete fra le mani mi auguro rappresenti un piccolo apporto per riscoprire una figura che ha contribuito a “fare” la storia di Pietrelcina di ieri e di oggi senza la presunzione di aver raccontato tutto di questo uomo che ha vissuto in modo autentico il suo sacerdozio e l’amore profondo verso la Chiesa.