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Festa Patronale della Madonna della Libera ieri sera a Pietrelcina

Tale devozione, in Pietrelcina, è antichissima: ne fanno fede i lasciti o donazioni di pucinari alla Cappellania omonima, rogati negli anni 1588 – 1591, dal notaio pietrelcinese Giovenale Fuccio.

Tra il sacro e il profano. Alcuni momenti della festa dedicata alla Madonna della Libera e della lunga notte dal titolo “S’adda fa matina”, con degustazioni e musica dislocati nei vari punti del centro storico

 La Cappellania era un ente giuridico, religioso o laico, legalmente eretto, con finalità di culto o di carità; case, terreni, prestazioni varie, ne costituivano il patrimonio.
Amministratrice dei beni era la stessa congrega di S. Maria della Libera. Oltre quella della Libera, nel secolo scorso, vi erano in Pietrelcina anche le Cappellanie del SS. Sacramento, dell’ Annunziata e del Rosario. Tutte, purtroppo, cessarono di esistere ed i loro beni vennero incamerati dallo Stato in seguito alla legge eversiva del 15.8.1867, n.3848.
Da un Inventario redatto dal notaio beneventano Francesco Imbimbo nel 1712, sappiamo che la Cappellania di Santa Maria della Libera possedeva: nella Chiesa dell’Annunziata, un altare proprio con un grande quadro della Madonna e relative suppellettili sacre; nel centro abitato, tredici case di abitazione con diversi vani e 52 appezzamenti di terreno di varia estensione nelle contrade del paese.
La Cappellania aveva l’obbligo, o peso annuale, della celebrazione di 104 messe lette, una ogni sabato ed un’altra ogni domenica dell’anno, e cinque messe cantate con i vespri nei seguenti giorni: martedì di Pasqua e di Pentecoste, il 2 luglio (festa della Visitazione), la prima domenica di agosto e, infine, il 27 dicembre festa di S. Giovanni Evangelista.
Poiché non si aveva memoria della fondazione di detta Cappellania, il Cardinale ORSINI (poi papa Benedetto XIII) la eresse canonicamente con bolla del 18.6.1692.
Anche prima del terremoto del 5.6.1688, che rase al suolo Pietrelcina, il centro della devozione fu sempre l’attuale chiesa parrocchiale anticamente detta dell’Annunziata, anche se nella antica chiesa parrocchiale di Santa Maria sul castello, crollata nel predetto terremoto, vi era un quadro di S. Maria della Libera unita ad altri Santi.
L’altare della Madonna della Libera, consacrato dal Cardinale ORSINI il 31.10.1907, era collocato nella navata destra, dove attualmente si trova quella del Rosario.
Sopra l’altare suddetto vi era un grande quadro su tela della Madonna della Libera con gli Angeli.
Della statua della Madonna della Libera non vi è cenno nei documenti dell’archivio parrocchiale fino al 1712. L’attuale simulacro policromo è certamente della scuola napoletana del primo settecento.
Dalla stessa scuola, in epoca imprecisata, fu costruita, fuori dell’abitato, ove si trova attualmente il Parco della Rimembranza, una chiesa dedicata a Santa Maria della Libera, ma destinata alla sepoltura dei fedeli. Prima di questa epoca serviva allo scopo un cimitero attiguo alla Chiesa dell’Annunziata.
Detta chiesa era comunemente denominata del Purgatorio. Cessò di funzionare come cimitero il 1.1.1877 e fu demolita, in seguito a frana, nel 1925. La relativa campana e le pietre furono portate processionalmente, il 25 maggio dello stesso anno, al cantiere dell’erigendo Convento dei Cappuccini.
Il quadro della Libera, ivi esistente, con Angeli e anime purganti in basso, ora si trova nella chiesa parrocchiale. L’altare fu anche trasferito nella stessa chiesa e collocato ai piedi dell’altare di S. Antonio da Padova.
La devozione della Madonna della Libera ebbe maggiore incremento dopo il miracolo della cessazione del colera avvenuto il 3 dicembre 1854.
Nel corso dei lavori di prolungamento dell’attuale chiesa parrocchiale, iniziati verso il 1880 dall’arciprete Don Nicola DE TOMMASI e portati parzialmente a termine dall’arciprete PANNULLO nel 1906, la statua della Madonna della Libera fu collocata nell’abside della navata centrale, mentre al suo posto fu trasferita quella del Rosario. Nel 1908, a cura degli emigrati d’America, fu eretto l’attuale trono marmoreo in sostituzione del preesistente in pietre e stucchi.
Quando a causa delle leggi eversive tutti i beni della Cappellania della Libera andarono perduti, la civica amministrazione, d’accordo con l’arciprete, assunse l’incarico di curare, mediante un Comitato, i festeggiamenti in onore della sua Patrona nelle tre feste a lei dedicate: prima domenica di agosto, 3 dicembre, 2 luglio.
Il Comitato, costituito ai primi di luglio, espletava il suo mandato con la festa del luglio successivo. I componenti del Comitato erano detti masti e festa.
Grazio FORGIONE, padre di Padre Pio, fu varie volte masto ‘e festa; Padre Pio stesso, in alcuni lavori giovanili, ha descritto i festeggiamenti di agosto degli anni 1900-1902, in chiesa e fuori.
Quella di agosto, la principale del paese, era festa di chiesa e di piazza, mentre le altre due erano a carattere strettamente religioso.
In chiesa, tutta addobbata con serici drappi, aveva luogo la solenne novena con predicazioni e vespri negli ultimi giorni.
La domenica, dopo numerose messe lette, alle 11, c’era la messa cantata con orchestra e panegirico. Seguiva subito dopo la solenne processione. Sulla porta della chiesa aveva luogo l’asta della Statua, cioè l’offerta del prezzo più alto per portare a spalle la Madonna per le vie cittadine. A sera vespri solenni e benedizione.
All’esterno, in piazza, allietavano la cittadinanza sempre due concerti bandistici, luminarie, bancarelle, giostre e fuochi d’artificio. Vi erano, inoltre, il volo dell’angelo, l’albero della cuccagna, le corse nei sacchi ed altri giochi folcloristici. Io ricordo anche una corsa ciclistica.
In anni ormai lontani coreografica era la raccolta delle gregne di grano alla Madonna.
Nel pomeriggio della domenica aveva luogo la sfilata dei carri agricoli carichi di spighe offerti dai massari. Si partiva dalle Gregarie, via Roma, piazza Annunziata, Corso, ora Padre Pio, e ci si fermava al luogo di partenza.
Una apposita commissione davanti la chiesa assegnava il premio al carro più bello, ed un altro premio al carro più carico. Il premio era costituito da un pacco di copeta ed un quadro della Madonna della Libera.
Chi non possedeva buoi partecipava alla sfilata con carri più piccoli, con asini o muli o con carretti di vimini, muniti di ruote leggere e tirate da un paio di capre.
Tutte le spighe si trebbiavano nella settimana successiva a cura del Comitato. Dall’uso dei carri quella di agosto era chiamata: la festa della Madonna della Carre.
Spettacolare era anche la raccolta delle offerte in danaro e grano.
Più volte, durante i tre giorni di festa, si formavano i cortei che di solito partivano dai vari rioni cittadini con bambini, recanti banconote infisse con spilli su ceri e con robuste popolane, con tini colmi di grano in testa.
In tempi ancora più lontani anche i signori facevano le loro sfilate. Il capo famiglia, in groppa ad un cavallo riccamente bardato guidava la schiera di figli e nipoti, recanti ciascuno ceri con banconote, ed i coloni che guidavano cavalli ed asini con salme di grano o baschére di messi. Ogni sfilata era sempre preceduta dalla banda musicale.
Ora di questa antica costumanza non vi è più traccia! I tempi sono mutati. Il folklore di una volta appartiene al passato. Ma la devozione alla Madonna della Libera, quella permeata di riconoscenza ed amore, resta sempre viva nel cuore di ogni figlio di Pietrelcina. »

A proposito del titolo di «Liberatrice» dato alla Vergine, il prof. Sergio Tretola nel suo saggio del 1988, La Madonnella Nostra – La Confraternita e il culto della Madonna della Libera in Pietrelcina, secondo volume pubblicato dal Centro Studi e Ricerche Storiche Pietrelcina a conclusione del Primo Centenario della nascita di Padre Pio, così scrive:

« L’epidemia di colera del 1854 fu in un certo senso anomala perché si sviluppò nei mesi invernali, tra novembre e dicembre.
La prima vittima del morbo si registrò il 5 settembre e venne seppellita «nel luogo detto Gregaria destinato per i colerici». Era arciprete Nicola De Tommasi. Vi fu un periodo di tregua, e poi dal 28 ottobre cominciò lo stillicidio giornaliero dei decessi, che continuò per tutto il mese di novembre con una media di 3 morti al giorno.
La popolazione aspettava impaurita ma fiduciosa che il freddo facesse cessare il morbo.
Il 1 dicembre, invece morirono 7 persone ed il giorno successivo si ebbero ben 16 decessi. Il panico si impadronì dei cittadini.
Il 3 dicembre morirono 19 persone. E’ da supporre che, a quel punto, tutta la popolazione, in preda alla disperazione, si sia rivolta con devozione totale alla Madonna, che con il titolo «della Libera» rappresentava l’estrema speranza.
Quasi sicuramente il simulacro fu portato in processione per tutte le contrade del paese. Sta di fatto che il 3 dicembre fu il giorno di massima mortalità; già il giorno dopo ne morirono 12 e il 5 dicembre si ebbero appena 7 decessi.
Nei giorni successivi mediamente morirono una o due persone fino al 21 dicembre, data in cui si ebbero gli ultimi due decessi per colera.
L’epidemia mieté, complessivamente, ben 153 vittime.
Da allora, ogni anno il 3 dicembre è festa di penitenza e di preghiera. Nel 1954 venne solennemente festeggiato il centenario di questo drammatico e doloroso episodio… »
«… Per i pietrelcinesi emigrati, la festa della Madonna della Libera ha rappresentato e rappresenta il momento in cui si sentono più lontani e più vicini al loro paese. Ai primi del Novecento, quando si fece massiccio l’esodo verso gli Stati Uniti, gli emigrati istituirono là una festa parallela a quella di Pietrelcina. Le condizioni economiche e le difficoltà oggettive non permettevano viaggi frequenti nella loro terra d’origine; la festa rappresentava, quindi, un rimpatrio simbolico, un raduno di paesani, un ricongiungimento ai parenti lontani. … »

(pietrelcina.com)
Fotografie di Lucia Gangale