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Il Presidente della Provincia di Benevento Claudio Ricci in occasione del 25 Aprile, 70° della Festa di Liberazione,ha rilasciato la seguente dichiarazione.

24/04/2015
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Ecco quanto scritto

Claudio Ricci

Claudio Ricci

«Carissimi genitori,

non so se mi sarà possibile potervi rivedere, per la qual cosa vi scrivo questa lettera. Sono stato condannato a morte per non essermi associato a coloro che vogliono distruggere completamente l’Italia.

Vi giuro di non aver commessa nessuna colpa se non quella di aver voluto più bene di costoro all’Italia, nostra amabile e martoriata Patria».

In queste pochissime righe di una straziante lettera d’addio di uno studente ragusano di 23 anni sono racchiusi il senso profondo, i valori etici e civili, l’insegnamento perenne della lotta di Liberazione del nostro Paese.

Nel 70° anniversario di quel 25 aprile del 1945, Liberazione dal nazi-fascismo, intendo ricordare quanti vollero sacrificare tutto, persino la propria vita, nella speranza di poter dare un futuro migliore all’Italia, a se stessi, ai propri figli. Quel futuro si chiamava libertà. E se oggi noi siamo qui a poter esprimere le nostre idee, a poter dialogare e confrontarci con gli altri che non la pensano come noi, ebbene lo dobbiamo a quanti caddero per quell’ideale nobilissimo.

Non vi sono parole che possano illustrare, senza retorica, il debito che abbiamo nei confronti di quegli uomini e quelle donne, talvolta persino adolescenti, che affrontarono con coraggio un cimento che poteva portare alla morte.

La Resistenza è stata condotta da tanta gente di tante fedi politiche.

Furono partigiani liberali, democristiani, socialisti, comunisti, persino monarchici, senza alcuna altra prospettiva che chiudere definitivamente con la guerra e con la dittatura. Nessun interesse utilitaristico, dunque.

Inevitabilmente, considerati i numeri dei partecipanti alla lotta, si verificarono nel corso della lotta di Liberazione anche eventi ed episodi deprecabili e da condannare; ma, nella sostanza, fu quello un movimento popolare, e proprio in questa sua fondamentale caratteristica che risiede il suo rilievo storico avendo lo stesso riscattato la dignità del nostro Paese.

Dato atto che anche nel fronte opposto in molti ritenevano in tutta onestà di combattere per il bene di tutti, va sottolineato che la generazione che fece la Resistenza fu capace poi di costruire un Paese che raggiunse, nella pace e nella libertà, traguardi mai visti di progresso civile e di conquiste sociali e democratiche: la Costituzione della repubblica, il voto a suffragio universale diretto, la ricostruzione dalle macerie della guerra, la riforma agraria, e così via.

Non è per uno stanco e trito rituale di frasi di circostanza, dunque, che è necessario ricordare la Liberazione.

La nostra riconoscenza per i morti di quei giorni, il nostro pensiero, il nostro capo chino per le vittime inermi delle tanti stragi perpetrate dai nazi-fascisti, come a Marzabotto, sono un moto spontaneo del nostro animo.

Dobbiamo essere degni di quei Caduti e del loro insegnamento.

Soprattutto oggi.

Noi infatti ci troviamo a vivere una contingenza storica difficilissima: i problemi di natura economica e sociale sono venuti, in questi ultimi anni quattro o cinque anni, come il sale su alcune ferite aperte, conseguenze dirette dell’illanguidirsi di quella temperie morale che animava gli uomini e le donne della Resistenza.

Oggi, ancora una volta, dobbiamo ricostruire questo nostro Paese e lo dobbiamo fare per onorare il sacrificio dei nostri padri. I nostri tempi, com’è ovvio, non sono eguali a quelli di 70 anni or sono; non dobbiamo piangere i lutti o le distruzioni della guerra; la situazione sociale ed economica è diversissima: eppure il nostro dovere è e deve essere lo stesso di allora.

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