Questo è il dilemma di otelliana memoria che ha suggellato l’intero pomeriggio filosofico all’Auditorium Calandra promosso dalla professoressa D’Aronzo, docente di Filosofia al Liceo Classico P.Giannone nell’ambito del progetto : La “Mia” filosofia e le filosofie.
Gli alunni e i docenti hanno assistito ieri pomeriggio alla lectio magistralis di Paolo Amodio, professore ordinario di Filosofia morale presso l’Università Federico II di Napoli, all’interno del convegno dal tema “Natura, uomo e animale tra logos, bios ed ethos”.
L’animale, sempre al singolare e sempre indistinto che si tratti di organismi unicellulari, di insetti, topi, cani, sembra non fare differenza, anzi all’interno della filosofia occidentale non è mai al centro della questione animale, al centro c’è sempre la questione autoreferenziale dell’uomo e dell’umanità inchiodata alla sua incapacità di pensare la differenza, l’alterità, la contaminazione o la continuità biologica.
La storia del pensiero filosofico occidentale è scavata da una domanda: “E’ possibile stabilire un confine tra l’uomo e l’animale ? Dove passa questo confine? Quali territori attraversa? Verso quali paesaggi del pensiero si incammina?
Dopo i saluti da parte della preside del Liceo Classico Norma Pedicini, felice del riscontro avuto nei precedenti appuntamenti filosofici come punti di confronto per i ragazzi per crescere in modo più consapevole, la professoressa D’Aronzo ha introdotto l’ospite d’eccezione : il prof. Paolo Amodio.
I ragazzi hanno potuto precedentemente studiare l’opera “L’animale che dunque sono” di Derrida, filosofo francese che ha elaborato un percorso filosofico, originale e provocatorio, che si caratterizza come decostruzione della “metafisica della presenza”. Quest’ultima costituirebbe l’aspetto più evidente della filosofia occidentale. Derrida mette in guardia dal concepire la decostruzione semplicemente come un metodo d’interpretazione. La nozione di metodo, infatti, è stata elaborata nell’ambito di quella stessa filosofia che la decostruzione coinvolge e pertanto ne condivide taluni presupposti.
“L’animal que donc je suis”, originario titolo in francese, comparso nel 2006, è la raccolta degli interventi che il filosofo francese aveva preparato per l’occasione. Si tratta di un testo postumo, che riunisce tre interventi composti per una lettura di fronte ad un uditorio, una lettura che, comprese le discussioni, coprì una durata di quasi dieci ore.
Un testo postumo, dunque, che raccoglie una parte del materiale su cui Derrida ha lavorato per comporre – se ne avesse avuto il tempo – una grande opera su «l’animale». Per Derrida la «questione dell’animalità» rappresenta «il limite su cui sorgono e prendono forma tutte le altre grandi questioni. I rapporti tra uomini e animali dovranno cambiare. E dovranno farlo nella duplice accezione di questo termine, nel senso di una necessità “ontologica” e di un dovere “etico”». Finora agli animali non abbiamo negato la facoltà di parlare, ma la possibilità di risponderci (rispondere a) rendendoci responsabili (rispondere di), in maniera da dar corpo alla riflessione con e su l’Altro.
L’animal que donc je suis “: nel titolo francese si fa sentire una coincidenza grafemica – quella del suis francese – in cui possiamo trovare tanto il verbo essere quanto seguire. Tale ambiguità nel titolo (l’animale che dunque sono/seguo) non è affatto risolta dal testo che, anzi, ne fa il tratto indecifrabile dell’opera. Cosa significa, in rapporto all’animale, «io sono»? A tale domanda non si può dare una risposta univoca, «dal momento che tale affermazione sembra implicare un “sono nel senso di sono appresso all’animale” oppure “sono in quanto sono presso l’animale”».
Una domanda ricorrente nel testo :”l’animale risponde o reagisce?”. La reazione s’inscrive nell’ordine del previsto e dell’automatico (animale) a differenza della risposta che apre all’ordine del possbile e dell’imprevedibile (umano). La posta in gioco è talmente radicale che ne va dell’intera differenza ontologica, dell’assunto metafisico concernente l’animale razionale (zoon logon echon).
La prima questione posta da Derrida è la nudità del pudore. Non si tratta della nudità dell’animale, quanto della nudità nella scena uomo-animale. (Prima scena dell’opera essere nudi davanti ad un animale, in questo caso un gatto). La nudità qui è vista come umano che prova imbarazzo.In questo ambito si contestualizza il discorso metafisico sul “proprio” come proprietà dell’uomo, che fa dell’animale un essere mancante, un teorema, una cosa non vista. Il percorso di Derrida coincide col tentativo di spiegare la mancanza come tratto costitutivo del rapporto uomo-animale.
Un ‘altra questione viene posta in essere nell’opera : violenza dell’uomo sulla vita dell’animale, da ciò il problema è capire se l’animale può parlare o pensare, di interrogare la sofferenza animale. Chiedersi se l’animale può soffrire equivale a dire : possono non potere?.
L’opera diventa un testo sulla frattura tra l’uomo e l’animale, non si tratta di negare la tesi della discontinuità tra l’uomo e l’animale. Il continuismo biologico è visto come sospetto da Derrida. Esso è un percorso impercorribile, la via da percorrere è lo spessore del limite che da forma a questa frattura.
Nell’opera Derrida cita numerosi autori a cominciare da Kant, Cartesio, Heidegger, Levinas, Lacan, tutti accomunati dal presupposto che l’animale non parla nè risponde, l’animale è fissato, ancorato. Secondo la visione di Lacan l’animale non è capace di mentire o fingere, non accede in altre parole al simbolico, resta catturato nell’immaginario, perche non sa fingere di fingere.
Attraverso la nudità e la mancanza si ripropone allora l’umano nella sua fragilità come vivente e come finito, magari proprio attraverso quella povertà attribuita all’animale e attraverso la sua ostinazione a non rispondere e a guardarci nella sua alterità, diversità, rimandando come in uno specchio la nostra immagine capovolta di dominatori vinti.
L’ incontro ha visto anche la partecipazione del Liceo Artistico ed in particolare di due alunni Terlizzi e Rizzo che hanno realizzato due dipinti esplicativi dell’ascolto e del dialogo dell’essenzialità delle cose in un mondo padroneggiato dall’apparenza più che dall’essere.